6 feb 2015

Sandokan. La Palermo della mia giovinezza



Che cos'era la Mafia per un ragazzo nato e vissuto a Palermo negli anni del buio? 

Oggi è facile a dirsi dopo che è stato tutto scritto, documentato e raccattato, dopo che i buoni e i cattivi sono già saliti agli onori delle cronache nazionali. Ma negli anni Ottanta? Che cos'era la Mafia? Il resto del mondo la conosceva come il nemico del commissario Cattani, il protagonista de La Piovra, la celebre serie televisiva che piaceva a tutti tranne me. Mi hanno sempre dato noia i luoghi comuni, pertanto mi sono sempre rifiutato di guardarla, fosse anche una sola puntata. "Corrado Cattani, (Milano, 19 Maggio 1947 - Milano, 20 Marzo 1989) è un personaggio immaginario" è quanto riporta Wikipedia. Capirete quanto potesse fregarmene della fiction in una Palermo dove Cosa Nostra era sempre dietro l'angolo.

La Mafia fu il primo morto ammazzato per strada che vidi da bambino. Perse la vita mentre stavo sul balcone intento a tracciare traiettorie indefinite e un po' spericolate con la mia macchinina. Poi una frenata brusca, un "pam pam" e delle urla. In tanti si precipitarono, accorrendo sul luogo del misfatto. L'accaduto destò talmente tanta curiosità che il balcone di casa mia, in un batter d'occhio, venne affollato da tanta gente la quale, sfruttando la posizione vantaggiosa, si disposte sulla ringhiera. Erano i grandi.
- E' la Mafia - disse qualcuno.
- Ma no! Non si sarà sentito bene ed è caduto a terra - si affrettava a correggerli uno di loro.
- Sarà stato un malore! Povera anima - rimarcò un altro. Poi ricordo mio padre che, venendomi incontro con fare minaccioso, disse:
- Tu, torna subito dentro casa. Non si guarda la gente che sta male!
Il suo ragionamento non faceva una piega anche se non capivo perché. C'era da fidarsi comunque, tra tutti i grandi, papà era il più importante e la sua autorità dettava legge. In quanto a me potevo rinchiudermi solo in un momento di vergogna, ne avevo combinata un'altra delle mie. Avevo visto la Mafia, uno che sentendosi male era stramazzato a terra. Un malore. Quando imparai il significato di questa parola non fui più troppo sicuro che si trattasse di questo e, che le mie ragioni non fossero del tutto infondate, lo appresi tramite il Giornale di Sicilia qualche anno dopo in età scolare.

La Mafia era un tizio tracagnotto e nerboruto che vidi da ragazzo in piena notte: tagliava un albero sotto casa mia per parcheggiare un camion. Qualcuno si svegliò per il baccano, ma nessuno fiatò. Eppure quante ne avevano dette a me quei pomeriggi in cui, dopo aver fatto i compiti (quando li facevo), mi ero recato giù in cortile a dare quattro calci a un pallone mezzo sgonfio:
- Hey tu! - urlava la signora del dal quarto piano - smettila con quel pallone sul muro! Se ne cade l'intonaco.
Il nostro condominio andava rispettato. Così, per onore del rispetto, decisi di scrivere una bella lettera al Giornale di Sicilia denunciando l'accaduto. Da quel giorno tutti nel quartiere, anche quelli che non avevo ancora avuto il piacere di incontrare, sapevano tutto su di me e della mia macchina con relativa targa. Sebbene mi fossi comportato correttamente e avessi la coscienza pulita, ero sulla bocca di tutti e non certo per note di merito sulla mia persona. La Mafia, infatti, decise di far valere le proprie ragioni e mi venne a cercare per chiarire la questione. Scontai la mia impudenza con una pistola puntata dritto nella pancia. 'A meggiu parola è chidda ca 'un si dici. 
Di parole invece ne ebbe da dire la mia ragazza. - Sei troppo mollo - disse. E mi lasciò. Credo che intendesse dire molle, ma comunque. Avevo capito cos'era la Mafia e anche che genere di persona fosse la mia ex.

Intanto crescevo e la Mafia diventava un affare sempre più complicato. Il 25 Novembre 1985 un'auto dei carabinieri che faceva da scorta all'Alfetta blindata del giudice istruttore Paolo Borsellino, sbandando, ha falciato la folla che attendeva l'autobus alla fermata, in pieno centro a Palermo. Fu una tragedia incredibile. Due giovani studenti, Biagio Siciliano e Maria Milella, persero la vita. Una ventina erano i feriti. Qualcuno iniziò ad inveire contro i tutori dell'ordine al grido di 'assassini', ma ben presto la vicenda prese una piega diversa e ricondotta alla ragione: i magistrati sottoposti a particolari protocolli di sicurezza non conducono una vita normale e questa pressione sulle loro vite testimoniava il clima di violenza che si respirava a Palermo durante quegli anni. Dunque anche stavolta la Mafia aveva le proprie responsabilità, così come ne aveva per l'omicidio di Claudio Domino, un ragazzino di 11 anni, ucciso con un colpo di pistola sulla fronte dopo essere stato adescato. Certo non mancò l'indignazione, ma non durava a lungo, tutto si esauriva nel giro di poche settimane, tanto i morti non avevano parola. Così fu per molti anni anche per certe personalità come Costa, La Torre, Dalla Chiesa e Zucchetto. Tutti, uno dopo l'altro, caddero e la morte si portò le loro parole con sé.
Tuttavia la morte non riuscì a trattenersi quelle di Giovanni Falcone, colui che più di tutti ci aveva raccontato della Mafia, di come agiva, pensava e comunicava, evidenziandone forze e debolezze. Falcone ne parlava come fenomeno umano, fatto di regole, di patti rispettati o infranti, di persone e del loro ergersi al rango di uomini d'onore. Dopo la sua morte, quella voce si cristallizzò nelle nostre coscienze riecheggiando più forte che mai. Il boato della strage di Capaci ci aveva sì gettato nella cupa disperazione, ma da allora tutto cominciò a parlare di lui e per lui. Si temeva per Borsellino, per il nostro sindaco Orlando, che tale era rimasto anche quando non ricoprì il ruolo di primo cittadino, e anche per la nostra vita. Eppure la rabbia stava innescando una sorta di ribellione che cominciò a serpeggiare dentro noi, gente offesa e mortificata da un inaccettabile sfregio. Avevano ammazzato Giovanni Falcone, uno dei pochi ad aver dato un indirizzo umano, morale e concreto a questa guerra alla quale pochi osavano prendervi parte sul serio. 
Non ci fu il tempo per sedimentare lo sdegno e convertirlo in azione risolutrice. Un altro boato squarciò la città. Un botto enorme, una dannatissima esplosione che la travolse sconvolgendo tutto ancora una volta. - Qui siamo a Beirut - diceva un ragazzo. Ma era via D’Amelio, a due passi da casa mia. Ci abitava un mio amico. Avrei voluto chiedere notizie. Ma come? Non c'erano mica i telefonini. Solo quelle cabine a gettoni, tutte intasate. Quello di Borsellino non fu omicidio, fu guerra aperta con tanto di bombe e tritolo in città. 
- E' finito tutto - diceva Caponnetto con quella voce affranta, distrutta dal dolore. Era la nostra voce, quella della nostra sconfitta. Tuttavia, sotto le carcasse di auto, dei detriti di muri e finestre, le ceneri di via D'Amelio covavano una rabbia feroce contro lo Stato che non aveva mai spalleggiato efficacemente i propri servitori più fedeli e che mai si era schierato contro quella parte di Palermo la quale, malgrado tutto, stava con i mafiosi, contro chi aveva davvero umiliato la città e gettato fango sull'interna nazione.

Palermo subì, inoltre, un ulteriore schiaffo: girava voce che i funerali degli uomini della scorta di Borsellino sarebbero stati vietati alla cittadinanza. A presenziarvi ci sarebbero stati tutti i politici, ignavi e traditori, gli stessi che il giorno prima avevano voltato la faccia e le spalle al nostro Giudice. Il giorno dei funerali l’accesso alla Cattedrale era protetto dai cordoni delle Forze dell’Ordine, eppure guardando negli occhi di quei poliziotti se ne scorgevano i sentimenti. Anche loro si sarebbero uniti  alla folla in un unico grande corteo, dove uomini semplici e perbene avrebbero gridato giustizia, accomunati da quel sentimento di paura misto a rabbia e frustrazione. Invece quei ragazzi si trovavano dall'altra parte ad eseguire gli ordini di uno Stato che non ci ascoltava. L'ordine era di tenerci lontano dalle salme di uomini e donne che per noi avevano dato la vita. 
In quell'atmosfera che mai prima d'ora si era vista a Palermo, ero lì con la mia gente in prima fila. Accanto a me una signora sulla cinquantina. Ci scambiavamo cenni col nostro fare siculo ed in breve, insieme a tutti gli altri, fu come elaborare una strategia comune. Indietreggiammo due passi, come se volessimo andare via, per poi caricare tutti insieme con tutta la forza che avevamo in corpo. Eravamo tantissimi. Sfondammo il primo cordone di polizia e poi, via, di corsa verso la Cattedrale. Era l'avanzare epico di un corteo rabbioso e lacrimante. Scavalcai il muro e mi sentivo come un velocista diretto verso un traguardo da raggiungere al fotofinish. Ma la mia era una vittoria arresa, come quella di tutti. Soltanto la disperazione mi dava la forza e, non so come, raccolsi le energie per sfondare un secondo cordone. Così mi ritrovai in zona giornalisti, proprio al cospetto dell'entrata della Cattedrale. Vedendomi, i cronisti cominciarono ad assalirmi: volevano che io, quel giovane ragazzo, dicessi qualcosa di forte da gettare in pasto al mondo intero, parole che il giorno successivo scrissero loro per me. A nome mio. Mi voltai per un istante, dietro di me due ragazzi si abbracciavano piangendo. Poi rivolsi ancora una volta il mio sguardo verso l'entrata. Venne allo scoperto Gianfranco Fini e fu immediatamente travolto dalla folla. Era l'unico ad aver avuto il coraggio di uscire fuori dalla porta principale. Ai miei occhi godrà di un credito immenso, soltanto per questo, nonostante tutto. Questi i ricordi che custodisco di quegli anni e che ancora oggi albergano nella mia testa come candele accese in eterno. 

Negli anni a venire, Palermo ridisegnò la toponomastica. Totò u curtu viveva accanto al mio posto di lavoro, Bagarella nel palazzo sopra la mia gelateria preferita. L’Albero Falcone divenne luogo d’appuntamenti e meta turistica, così come via D’Amelio. Nacque una nuova fratellanza tra cittadini, poliziotti e militari dei Vespri Siciliani. Scoppiò la Primavera palermitana, e stavolta fu un bel boom, esplose la parte bella e sana della città anche se la Mafia non è mai andata via e la storia, come tutti sapete, è andata avanti. 
Un tale Gioacchino Basile, aveva aperto un negozietto di scarpe ad un isolato da casa mia. Sindacalista della FIOM CGIL, aveva perso il lavoro e la tessera sindacale per aver denunciato le compromissioni mafiose nei cantieri navali. Il suo negozio era sempre vuoto, la gente aveva paura di avvicinarsi. Sapevo del suo amore per la lettura e così, superata la timidezza, comprai un libro e glielo recapitai di persona. Fu un incontro senza parole, quasi muto, carezzato dal silenzio e l'emozione. Ci abbracciammo e lo ringraziai per il coraggio. Poco tempo dopo il negozio chiuse e lui venne inserito nel programma di protezione testimoni dello Stato.

19 commenti:

  1. Bellissimo questo racconto.
    Sì, questi sulla mafia dovresti ampliarli :)

    Moz-

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    1. Grazie Moz, ma tutto dipende dalle mie fonti ;)
      Questo è stato il post più difficile di tutti perché ho parlato di cose che non conoscevo fino a pochi giorni fa, ho dovuto studiare, andarmi a leggere un po' di cose, guardare film, filmati, leggere testimonianze. Però è stata veramente un'esperienza.

      Comunque già devo fare uno spin off sul Marchese, ne facciamo anche uno sulla Mafia? Così facciamo di questo blog il Silmarillion del nuovo millennio :D
      Ci sono tante altre tematiche che vorrei trattare. Alla fine, come sai, il tema cardine di questo blog sono i rapporti virtuali, quindi dinamiche umane che si riproducono sul web e, ti anticipo, sui dispositivi mobili :)
      Un post come questo ha anche una funzione narrativa, ma questo non lo si vede subito.

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  2. Molto bello, mi riporta un po' all' infanzia, in quanto nella mia città negli anni '80 infuriò una guerra di mafia con tantissimi morti ammazzati ed il pericolo era palpabile nell'aria anche per noi bambini che uscivano nei cortili per giocare con il pallone sottobraccio.
    Ottimo racconto, molto realistico.

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    1. Grazie, ho fatto mia una testimonianza di chi veramente c'è stato. Sono veramente contento della resa :)

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  3. Molto bello ed intenso questo racconto, sembra quasi che tu abbia vissuto certe situazioni per descriverle in modo tanto convincente.
    Mi piace soprattutto il modo in cui hai approcciato quest'argomento non facile e di cui si è stra parlato e stra scritto, in maniera "fresca" e molto personale :)

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    1. Grazie mille Silvia. Ovviamente io non ho vissuto nulla di tutto questo: la prima volta che ho sentito il nome di Falcone facevo le scuole elementari, avevo sentito parlare della Mafia ma non sapevo chi la combatteva. Ho cercato dunque di immedesimarmi in questa storia che mi è stata raccontata e ho pensato che potesse essere interessante per dare un tema di spessore al blog. Parlare di Mafia in chiave emozionale, questo è quello che intendevo fare

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  4. bellissimo e super inteso. Sandokan sta dando il meglio di se ;)
    kiss

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    1. Sai, questo è il secondo post che faccio scrivere a Sandokan. Adesso il problema è, ma la prossima volta che cosa gli faccio scrivere?

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    1. Grazie mille, sono contento che ti sia piaciuto!

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    2. La stringatezza del mio commento è voluta: non ci sono parole da aggiungere, il post racconta e suggerisce emozioni e atmosfere molto forti.
      Bravo davvero!

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  6. Io non sono molto propensa a certe storie ma è cmq un bel racconto!

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  7. Bello questo racconto, di solito faccio un'enorme fatica a leggere queste storie che parlano di mafia e simili, invece il tuo modo di scrivere è comunque molto scorrevole e comprensibile, anche quando affronti questi temi. Bravo :)

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    1. Spesso mi sono trovato anch'io alle prese con questo problema: le vittime e il problema Mafia vengono snocciolate come la lista della spesa sicché anche coloro i quali non hanno molta confidenza con l'argomento non riescono ad entrarvi. Mi interessava mostrare il carico umano di certe vicende, quello che purtroppo si ignora maggiormente. Stranamente Giovanni Falcone parla della Mafia in modo molto umano, cosa che oggi non si riesce più a fare.

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    2. Piccolo avviso, non so se vedi aggiornati i miei ultimi post, mi hanno segnalato questo problema coi blogroll e con gli aggiornamenti di Blogger. Comunque dovresti sostituire profumodifollia.blogspot.it con www.profumodifollia.it e così dovrebbe funzionare, fammi sapere :)

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  8. La mia prof di matematica, che era di Palermo, ci aveva raccontato in classe di questo clima di terrore, dove le persone per bene temevano il male ad ogni istante e tu hai restituito l'atmosfera di tensione che si provava e che anche se anestetizzata forse in certi luoghi si prova ancora.

    Questi post sono belli, stupendi e fanno malissimo.

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    1. Chissà quante cose avrebbe da raccontarci la tua prof di matematica...

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